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2023-02-15 15:46:08 By : Andy luo

Contrariamente a quanto si possa pensare, la realtà virtuale non funziona a meraviglia solo con la visuale in prima persona, ma come nel caso dei vari Down to the Rabbit Hole e Brass Tactics, anche quando vediamo il nostro alter ego dall’esterno (ancor più se con l’aggiunta di un “diorama” virtuale), la VR può dare vita a esperienze videoludiche di grande valore. Un po’ quello che succede con PathCraft, puzzle-game emerso all’attenzione generale quest’estate nel corso della Gamescom di Colonia e finalmente disponibile da qualche giorno su Meta Quest 2 e Meta Quest Pro.

Ammetto di non aver giocato molti puzzle-game in realtà virtuale, ma proprio per questo ho fatto volentieri un’eccezione, soprattutto dopo che il team di sviluppo di Devil Cow Studios aveva parlato fin dagli albori del gioco di "elementi in stile Lemmings". Su Lemmings (e su Amiga) ci ho passato intere giornate ai tempi che furono e quindi mi sono lanciato su ParthCraft con ancora più entusiasmo, riconoscendo in effetti come la formula di base di questo puzzle-game (seppur con le inevitabili differenze) abbia molto a che fare con il capolavoro di Psygnosis di oltre trent’anni fa.

In PathCraft però abbiamo a che fare con un singolo protagonista e non con decine di animaletti con istinti suicidi, ma proprio come in Lemmings anche qui non controlliamo direttamente il nostro alter-ego (che infatti continua a muoversi autonomamente), bensì l’ambiente che lo circonda. Lo scopo di ogni livello (ce ne sono un’ottantina in tutto) è di raccogliere delle batterie poste (ovviamente) nei punti più impensabili e difficili da raggiungere.

Come? Semplicemente (ma mica tanto) spostando delle scatole nello spazio circostante in modo da far compiere al simpatico protagonista un percorso tale da raggiungere le batterie, tenendo sempre a mente che non ci si può distrarre o fermare un attimo visto il perenne movimento del nostro alter-ego. Se i primi tre-quattro livello sono una relativa passeggiata e possono considerarsi dei tutorial, a partire da questa “soglia di tolleranza” PathCraft inizia a mostrare gli artigli e a proporre livelli sempre più intricati e lunghi da completare, dove anche la minima esitazione significa Game Over.

Ovviamente, non si tratta solo di spostare scatole per ottanta livelli per colmare dei vuoti tra i vari blocchi, ma anche di farlo al momento giusto sfruttandole anche come riparo per dei proiettili vaganti, oppure toccando con le nostre mani virtuali interruttori e pulsanti che attivano o disattivano altri blocchi. Ci sono poi blocchi di sabbia che sprofondano una volta che ci finiamo sopra e tanti altri elementi che, seppur ripetitivi a lungo andare, riescono bene o male a proporre sempre qualcosa di stuzzicante.

Dal livello 20 in poi la sfida diventa poi tostissima, giusto per smentire chi, dando un rapido sguardo allo stile grafico, potrebbe immaginarsi un giochino per famiglie. Diventa quindi fondamentale osservare attentamente il livello prima di giocare per vedere dove si trovino le batterie, anche se capire subito come raggiungerle è praticamente impossibile. Se a livello di controlli prendere, muovere, toccare e spostare elementi dello scenario è semplicissimo in questo colorato mondo virtuale, spiace parecchio non poter ruotare a piacimento i deliziosi diorami (possiamo solo spostarli in verticale e in orizzontale).

Questa assenza si fa sentire non poco e aumenta ulteriormente la difficoltà di alcuni passaggi se si decide di giocare seduti; restando in piedi, ci si può tranquillamente muovere attorno allo scenario di gioco per avere una visuale più comprensiva del livello, mentre se si rimane seduti (e PatchCraft sarebbe indubbiamente un videogioco perfetto da godersi comodamente sul divano) il tutto si complica inutilmente.

Nel caso vogliate poi ottenere il maggior numero di stelline alla fine di ogni livello per spendere le relative monete e personalizzare il look del protagonista, aggiungete pure un ulteriore strato di difficoltà, tanto che ho smesso ben presto di interessarmi al "perfect score" e mi sono concentrato unicamente sul completare in qualche modo ogni singolo livello. A tal proposito, qualche opzione per gestire meglio il livello di difficoltà, abbassando per esempio la velocità di movimento del protagonista, sarebbe stata gradita.

Come esperienza puzzle, PathCraft ha comunque una buona personalità e molto spesso bisogna davvero scervellarsi per comprendere in che modo spostare scatole e blocchi e come indirizzare il nostro alter-ego nella giusta direzione. Non sono un patito del genere e, tornando al paragone iniziale, Lemmings offriva molte più varianti a livello di gameplay, ma PathCraft ne riprende con un certo successo quel senso d'urgenza e la sensazione di non potersi distrarre un attimo che alla fine mi sono piaciute. Peccato che non esista una trama, che la grafica sia piuttosto spoglia e che i controlli direttamente tramite le mani (già, si può giocare anche senza i controller) non siano altrettanto precisi e comodi.

Ma parliamo in fondo di una produzione dalle risorse non certo ciclopiche che, tra gli altri meriti, ha anche quelli della longevità (dalle 7 alle 9 ore per un puzzle-game in VR non sono poche) e dell’editor integrato. Da quel poco che ho visto, lo strumento offerto da Devil Cow Studios per crearsi i propri livelli e condividerli online con altri giocatori è ben fatto e non troppo cervellotico e, anche se per ora i livelli condivisi sono davvero pochissimi (il gioco è uscito solo ieri), immagino che con il tempo aumenteranno e renderanno il tutto ancora più longevo (e potenzialmente infinito).

Ho scaricato PathCraft su Meta Quest 2 grazie a un codice review fornito dagli sviluppatori, impiegando circa otto ore per completarlo. Il gioco è disponibile al prezzo di 11,99 euro su Meta Store ed è interamente in inglese: potrete scegliere di affrontarlo sia da seduti, sia in piedi, con o senza controller. È compatibile solo con i visori Quest 2 e Quest Pro e richiede poco più di 300 MB di spazio libero per l’installazione.

PathCraft avrebbe meritato certamente di più se gli sviluppatori avessero inserito la rotazione della visuale, implementato meglio i controlli con le mani e proposto qualche opzione in più per gestire meglio la difficoltà, che dopo un certo numero di livelli rischia di rendere il gioco davvero frustrante (soprattutto per i più piccoli). A parte questo, però, ci troviamo di fronte a un puzzle-game in VR che, oltre a richiamare la formula di Lemmings (e questa è cosa buona e giusta), riesce a offrire un gameplay sicuramente limitato nelle meccaniche ma intelligente, impegnativo e caratterizzato da un buon numero di novità proposte tra un livello e l’altro, cosa tutt’altro che scontata considerando il quantitativo di stage presenti al lancio. Se poi quelli disponibili non vi bastano, l’editor di livelli incluso può rendere PathCraft un gioco dalla longevità potenzialmente infinita.